mercoledì 16 febbraio 2011

Alla vecchia valuta italiana resta un solo anno di vita


Alla vecchia valuta italiana resta un solo anno di vita. Chi deve cambiare banconote e monete si sbrighi: in circolazione c’è ancora l’equivalente di quasi due miliardi di euro.

«Per una lira io vendo tutti i sogni miei. Per una lira ci metto sopra pure lei» (Per una lira, Lucio Battisti, 1966).

Lira, dal latino libbra, unità di peso pari a 327 grammi. Divenne unità monetaria nel 793 a.C. con l’introduzione, da parte di Carlo Magno, della cosiddetta libbra “pesante” (408 grammi). Per molto tempo non è esistita fisicamente come moneta: dato l’alto valore fungeva solo da “unità di conto”. La prima vera lira italiana, basata sul sistema decimale 100 centesimi = una Lira, fu coniata da Napoleone nel 1808.

Alla vecchia lira resta solo un anno di vita. Il 29 febbraio 2012 è l’ultima data utile per portare le banconote e le monete in lire ancora valide al 1° gennaio del 2002 a un ufficio della Banca d’Italia e ottenere l’equivalente in euro. Dal primo marzo dell’anno prossimo il cambio lira/euro non sarà più possibile e le vecchia valuta non avrà più valore monetario, rimanendo quindi solo un oggetto per nostalgici o collezionisti.

Secondo i dati di Bankitalia, aggiornati al 31 dicembre 2010, sono ancora in circolazione circa 309 milioni di banconote e 8,5 miliardi di monete in lire. Il loro valore complessivo è di 3.345 miliardi di lire: equivale a 1,727 miliardi di euro, lo 0,1% del Prodotto interno lordo italiano.

Nel primo anno dell’euro la banca centrale italiana ha recuperato circa 122mila miliardi di lire circolanti. Al 31 dicembre 2002 rimanevano in giro banconote e monete per 4.216 miliardi di lire. Nei successivi otto anni sono rientrati altri 871 miliardi di lire. Dalla metà del 2009 a oggi il numero dei tagli in circolazione si è ridotto di due milioni di pezzi, lo 0,6% del circolante.

Si aspetta la restituzione di: 197 milioni di banconote da mille lire, 40 milioni di banconote da 10mila lire, 31 milioni di banconote da 5mila lire, 21 milioni di banconote da 2mila lire, 7,5 milioni di pezzi da 50mila lire e 12 milioni da 100mila lire.
Mancano all’appello anche 300mila pezzi da 500.000 lire. Messe in circolazione nel 1997, con una tiratura di 380 milioni di pezzi, le banconote da mezzo milione sono state le più preziose mai stampate dalla Banca d’Italia. Rimaste sconosciute alla massa per quasi tutta la loro esistenza, durata appena tre anni, le banconote da 500mila lire sono blu e sono dedicate a Raffaelo Sanzio, del quale riproducono tre opere: l’autoritratto, che è conservato nella Galleria degli Uffizi, l’affresco Il Trionfo di Galatea, nella villa Farnesina, e la Scuola di Atene, nei Musei Vaticani.

L’incisore pesarese Trento Cionini, cui la Banca d’Italia affidò l’incisione delle 500mila lire nonostante, ormai 78enne, fosse in pensione da 17 anni. Nel suo curriculum di disegnatore: le mille lire “Verdi”, le 2mila lire “Galileo”, le 5mila lire “Colombo”, le 10mila lire “Michelangelo”, le 20mila lire “Tiziano”, le 50mila lire “Leonardo”, le 100mila lire “Manzoni”. È morto nel 2005.

È già tardi per chi avesse ancora conservate le 20.000 lire. La prescrizione per queste banconote è già scattata nell’aprile 2002. Discorso analogo per le 50.000 lire «Bernini-prima edizione», che da febbraio del 2006 non hanno più valore.

Le monete da 100 e 50 lire edizione micro, pensionate lo scorso ottobre. Classico esempio di moneta lillipuziana, non ebbero grande successo. Messi in circolazione nel 1990, i pezzi da 100 lire non furono più prodotti a partire dal 1992, mentre quelli da 50 lire continuarono a essere coniati per tre anni. Dopo soli dieci anni di circolazione, furono messi in pensione alla fine del 2000. Prima di andare fuori corso, la loro tiratura aveva superato gli 834 milioni di pezzi.

La Banca d’Italia non si aspetta un boom di restituzioni. Possibile però che l’imminente cambio di stagione porti fortuna. A Via Nazionale hanno fatto caso che sempre, nei momenti di passaggio dal caldo al freddo, la gente finisce per ritrovare nelle pieghe di un vecchio giaccone o nelle tasche di un pantalone pesante, i preziosi, dimenticati «tagli» e li riporti alla banca centrale.

Spesso le vecchie lire saltano fuori quando muoiono degli anziani, tra i quali c’è chi ancora tiene i soldi sotto al materasso o dentro un baule. Solo al momento del trapasso, questi biglietti vengono fuori. Un funzionario di Bankitalia racconta che nel Sud un giovanotto qualche settimana fa si è presentato con 10 milioni di lire ancora legati con lo spago. Erano del nonno, scomparso da poco.

Fino a tre milioni di lire la Banca d’Italia non chiede particolari formalità per cambiare le lire in euro. Oltre questa soglia occorre presentare un documento d’identità.

Spesso in Banca d’Italia si presentano persone con in mano banconote scolorite, appiccicate, sbrindellate, magari con la filigrana penzolante. Sono i biglietti che per errore sono stati lavati e centrifugati, distrutti per sempre. La «quota» di pezzi ormai inservibili rappresenta una discreta fetta delle lire che mai rientreranno in cassa.

Un’altra porzione di lire, pure destinata a sparire dai conteggi, è rimasta volontariamente nel portafoglio dei turisti per essere conservata tra i ricordi di viaggio. E un fenomeno diffuso e non quantificabile che esiste da sempre.

Le banconote in lire restituite vengono annullate con una speciale punzonatrice e destinate a due trituratori alti come palazzi, uno a Roma, nel bunker di Bankitalia sulla Tuscolana, l’altro a Piacenza, nel centro raccolta biglietti. Una volta triturate come coriandoli, le banconote sono raccolte in grandi sacchi di plastica e trasportate in discariche specializzate. Oppure, pressati e plastificati, i coriandoli diventano fermacarte o soprammobili: di color rosa se fatti con le 50mila lire, blu se derivano dalle 10mila, verdino dalle 5mila. In gergo si chiamano “bricchette”, e la Banca d’Italia le dona a Croce Rossa e Unicef.

Poi ci sono i collezionisti. Su Internet già adesso le vecchie 100 mila lire con Alessandro Manzoni valgono 1.000 euro. Introvabili le 500 lire d’argento celebri per l’errore della nave che va con la bandierina alla rovescia.

Per avere una quotazione delle proprie vecchie lire ci si può rivolgere a uno dei 350 negozi di numismatica attivi in Italia. In generale valgono molto di più le banconote con un numero di serie basso (fino a 0000100) e quelle con numeri di serie palindromi (identici da destra a sinistra) o con sequenze regolari (come 234567).

Mille lire con la faccia della Montessori del 1990, in perfette condizioni (in gergo si dice “fior di stampa”) valgono normalmente cinque euro. Ma le serie Xd e Xf, rarissime, possono valere anche 200 euro. Le 5mila lire con Bellini dell’85 sono pagate circa 50 euro, quelle delle serie Xa arrivano anche a 800 euro. Le 50mila lire con Bernini del 1993 se del primo tipo con il numero di serie che inizia con XE arrivano a valere 3mila euro. Per le 500mila lire nel migliore dei casi si strappano 500 euro.

La moneta da mille lire, bimetallica, coniata nel 1997 e nel 1998. Su un lato ha l’Italia Turrita, sull’altro la mappa dell’Europa. Nella sua prima variante era piena di errori: la Germania era ancora divisa in due Stati (il muro di Berlino era crollato da otto anni) e includeva l’Olanda. Mancava la Corsica. Carlo Azeglio Ciampi, allora ministro del Tesoro, fu costretto a scusarsi con l’ambasciatore tedesco in Italia. Nella seconda versione la Danimarca era messa in una posizione errata.

Per evitare che la moneta sbagliata alimentasse la speculazione dei collezionisti (e per limitare i costi del danno, dato che ne avevano stampate 100 milioni) il governo scelse di non ritirare quelle mille lire. Oggi non valgono più di 2-3 euro.

Il gettone telefonico, a lungo utilizzato come moneta pur non avendo nessun valore ufficiale. Stampato tra il 1959 e il 1980 su commissione della Sip, ha avuto valori diversi nella sua storia, a seconda del costo dello scatto teleonico: 45 lire nel 1959, 50 lire negli anni Settanta, 100 lire dal 1980 e, infine, di 200 lire a partire dal 1984. È stato ritirato definitivamente nel 2001.

Per fare una lira dell’unità d’Italia oggi ne servirebbero oltre 8.577 (quattro euro e mezzo). Per fare una lira degli anni Cinquanta, dopo il boom inflazionistico successivo alla seconda guerra mondiale, ne basterebbero 34.

Secondo le tabelle di rivalutazione Istat mille lire del 1938 equivalgono a circa 845 euro odierni.

L’allora ministro del Welfare, Roberto Maroni, che nel 2005 propose di lasciare l’euro e tornare alla lira: «Io dico di non scartare questa ipotesi perché non è affatto peregrina. Anzi. Sono tre anni che l’euro, non per colpa sua ma per responsabilità di chi ha gestito il passaggio alla moneta unica, ha dimostrato di non essere adeguato di fronte al rallentamento della crescita economica, alla perdita di competitività e alla crisi dell’occupazione. Non è forse meglio tornare, temporaneamente, almeno a un sistema a doppia circolazione? In Europa c’è un esempio virtuoso ed è la Gran Bretagna che cresce, si sviluppa, mantenendo la sua moneta».

Il commentatore del Financial Times che nell’aprile del 2006 ha previsto che entro e non oltre il 2015, l’Italia, in crisi di competitività e guidata da un governo populista, abbandonerà l’euro e tornerà a una lira fortemente svalutata.

«Se potessi avere mille lire al mese, senza esagerare, sarei certo di trovare tutta la felicità» (Mille lire al mese, Carlo Innocenzi e Alessandro Soprani, scritta per l’omonimo film del 1938).

Fonte: Voce Arancio

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