martedì 13 ottobre 2015

Alpi Apuane - Escavazione selvaggia, il caso è sempre più nazionale

Le problematiche ambientali legate all’estrazione del marmo, o meglio delle scaglie, finiscono sotto i riflettori della stampa nazionale ed internazionale. Sia “Sette”, settimanale del “Corriere della Sera”, che “National Geographic” hanno infatti dedicato due ampi servizi alle Alpi Apuane, sottolineando la necessità di salvare i nostri monti dall’escavazione selvaggia. «Negli ultimi cinquant’anni -scrive Daniela Cavini su “Sette”- è stata estratta la stessa quantità di marmo che è stata prelevata nei precedenti duemila. Si sa che nel 1950 cadevano 195.000 tonnellate di marmo l’anno, ed oggi si parla di milioni.
Oggi l’affare che sta smontando le montagne è quello della polverizzazione delle scorie».
La giornalista ricorda anche i diversi usi industriali del carbonato di calcio prodotto dalla frantumazione del marmo: sbiancante per la carta, base per cosmetici, mangimi e dentifrici, desolforatore dei fumi delle centrali elettriche a carbone. «Se gli scarti prima rallentavano l’estrazione dei blocchi, -prosegue la Cavini- oggi sono più preziosi dei marmi stessi, anche perché più facili da ottenere: ci sono addirittura frantoi mobili che lavorano direttamente nelle cave. Ridurre monti in farina è diventato un vero business”.
Dante Matelli su “National Geographic”, in un articolo dal titolo assai significativo, “Apuane, cuore infranto”, denuncia la situazione in cui versano i corsi d’acqua del territorio, a cominciare dal Carrione, che definisce “un fiumiciattolo che vien giù dalla montagna, spacca la città di Carrara in due, e, intasato di detriti e scarti di marmo, all’improvviso esplode e fa morti e feriti”. L’autore parla anche degli sversamenti di marmettola nel Frigido, ricordando che “ogni tanto, per la lavorazione delle cave a monte”, il fiume che attraversa Massa “si tinge di panna”, con “un’acqua che ha il colore di un gelato all’anice”.
L’inchiesta di Matelli ha interessato anche il versante lucchese, dove si trova il picco delle Cervaiole, di proprietà della ditta Henraux. Esso è stato decapitato prima che i limiti di scavo in quota venissero definiti per legge ed ora, a scavi ormai fermi, ospita feste. “Oggi -sostiene Matelli- le Cervaiole scavate e disossate hanno l’area di una cattedrale gotica senza tetto, il cielo è lassù, i tagli alle pareti arrivano a perpendicolo (80 metri) e immensi gradoni di marmo rettangolari sono scolpiti in bilico sulla testa di chi guarda; la Natura è cubista. Al monte marcano 30 metri di cima finita in blocchi”.
L’articolo del “National Geographic”, poi, dà voce ad ambientalisti militanti, come Alberto Grossi ed Elia Pegollo, ma anche all’ingegner Giuseppe Baccioli, ex presidente di Assindustria, che difende strenuamente chi lavora le montagne e non vuole assolutamente sentir parlare di disastro ambientale.
 “Le cave -afferma Baccioli- non sono uno sfascio della natura, ma un valore estetico tra i più affascinanti del mondo, come le Piramidi. Se non ci fossero state le cave con il bianco dei ravaneti, gli squarci della montagna opera dell’uomo, queste sarebbero state montagne come ce ne sono a centinaia, e infinitamente inferiori come valore paesaggistico rispetto alle Dolomiti o all’Himalaya. Chi sarebbe venuto a fotografarle?”. Secondo l’ex presidente degli industriali, dunque, sarebbero state proprio la coltivazione e l’estrazione ad aver creato un valore aggiunto per i nostri monti. Ma la questione dei detriti?
Gli scarti, che vengono venduti -risponde Baccioli- contribuiscono per il 40 per cento al budget cittadino”. E il traffico dei camion inquinanti? “Mille camion -ribatte di nuovo l’ingegnere- significano mille camionisti, mille meccanici, mille fornitori di copertoni”.

Fonte: Il Tirreno - David Chiappuella

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