sabato 6 novembre 2010

Un'altra soluzione è possibile


Editoriale n. 34 del Direttore Andrea Giannasi de "Il Giornale di Castelnuovo": "un'altra soluzione è possibile"

Da alcuni giorni mi domando se l’Italia è un paese membro della Comunità europea. Questo dubbio mi è sorto dopo aver letto la Direttiva 12 del 2006 in merito ai rifiuti. Tra le altre cose a Strasburgo hanno scritto: “è auspicabile favorire il recupero dei rifiuti e l’utilizzazione dei materiali di recupero come materie prime per preservare le risorse naturali“. E si aggiunge: “si auspica che gli Stati Membri adottino le misure appropriate per promuovere in primo luogo la prevenzione e la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti“.
Quando il parlamento Europeo scrive di recupero dei rifiuti si riferisce forse alla raccolta differenziata? E ancora: prevenzione e riduzione legati all’incenerimento dei rifiuti non significano forse chiusura degli inceneritori? Forse.
In ogni caso in Italia pochi devono aver letto la Direttiva 12: era forse solo scritta in inglese, francese e tedesco. Lingue astruse al politico autoctono.
In ogni caso un italiano, secondo gli ultimi dati, in media produce quasi 600 chilogrammi di rifiuti ogni anno. Nel 1991 ne produceva 350. “Per alcuni l’aumento dei rifiuti è un indice positivo, perché rappresenta l’espansione dei consumi e quindi lo sviluppo economico. Per altri coincide con l’erosione delle risorse naturali e una fonte di inquinamento; per loro la crescita esponenziale dei rifiuti è un fenomeno di gravità assoluta, dal forte impatto ambientale e che mette a rischio la salute della comunità”.
Se continuiamo di questo passo nel 2020 produrremo 800 chilogrammi di immondizia procapite (neonati compresi che con i loro pannolini sono tra i principali attori) e non sapremo proprio più cosa farne.
Eppure da qualche parte in giro per il mondo qualcuno dell’immondizia ha saputo cosa farne.
“La Strategia Rifiuti Zero è già applicata in alcuni ambiti territoriali del nostro Paese. Il Consorzio Priula, che serve 250.000 persone in provincia di Treviso, dal 2001 ha rimosso tutti i cassonetti e consegnato ad ogni famiglia contenitori per effettuare la raccolta differenziata ‘porta a porta’: bidoncino giallo per la carta; blu per il vetro, la plastica e le lattine; contenitore marrone per la frazione umida; sacco bianco per la frazione verde; contenitore verde per il rifiuto secco non riciclabile. Il radicale passaggio alla raccolta ‘porta a porta’ ha permesso il raggiungimento degli obiettivi previsti dal decreto Ronchi. Si è passati dai 451 chilogrammi prodotti a 317 pro capite e ogni famiglia ha pagato 11 euro in meno di tariffa per aver prodotto meno rifiuti.
Troppo piccola l’esperienza trevigiana? Anche nelle grandi città è possibile spingere, e molto, la raccolta differenziata. New York, Canberra, San Francisco hanno scelto di abbandonare l’incenerimento puntando tutto sulla Strategia Rifiuti Zero. Dal 1985 a oggi dei 300 inceneritori già programmati negli Stati uniti ne sono stati costruiti solo 15, e da otto anni non se ne costruiscono più. Prendiamo San Francisco, 800mila abitanti, più pendolari e turisti, esattamente il doppio di Firenze. Grazie ad una nuova normativa che sostiene il riciclaggio, in soli 4 anni (dal 1999 al 2002) la raccolta differenziata è passata dal 42% al 63%”.
Ricapitoliamo: la comunità europea sollecita i governi a far buon uso dell’immondizia; se non ci diamo una regolata – da Ponte di Calavorno fino all’Argegna siamo circa 50.000 abitanti – nel 2020 sulle sponde del Serchio produrremo 40 milioni di chilogrammi di immondizia ogni anno. Ovvero 40.000 tonnellate.
Tanto quanto il Titanic che tutti sappiamo che fine ha fatto nel 1912.
Casuale che tra le ipotesi formulate per salvare Se.Ve.ra. ce ne sia una che “prevede l’ampliamento dell’impianto, dotandolo anche di una moderna tecnologia così da non aumentare l’inquinamento, e arrivando a trattare 30-35 mila tonnellate annue di rifiuti”.
Sicuramente una coincidenza derivata dalla “solitudine dei numeri primi”.
Alla fine però si parla sempre di salute dei cittadini. Ebbene in rete esistono molti dati. Il più significativo è quello relativo all’area di San Donnino, nei pressi di Firenze. Area che ha avuto per molti anni un vecchio inceneritore. Nell’estate del 2005 sulla rivista medica ‘Epidemiologia e Prevenzione’ è stata pubblicata una ricerca sulla mortalità tra il 1981 e il 2001 nel territorio circostante l’inceneritore, a cura del professor Annibale Biggeri, del Centro per lo Studio e la Prevenzione Oncologica dell’Università di Firenze. E’ una ricerca dai risultati impressionanti. In quel periodo infatti le patologie legate al linfoma non Hodgkin e ai linfomi del rarissimo sarcoma dei tessuti molli hanno colpito ben 14 persone contro le 7,6 attese statisticamente. Tradotto in percentuali significa, per i linfomi, un aumento di rischio di morte dell’84% rispetto a quelle che sarebbero le aspettative suggerite dagli standard europei. Per quanto riguarda il sarcoma, l’aumento calcolato è del 126%.
Il problema reale sono dunque le “nanoparticelle”, emesse nel processo di incenerimento anche dai termovalorizzatori tecnologicamente avanzati. Una recente ricerca dell’Università belga di Lovanio dimostra come le polveri di 1 micron, se respirate, arrivano nel sangue in soli 60 secondi e raggiungono il fegato in un’ora. Quando si accumulano nell’organismo diventano estremamente tossiche ed è impossibile espellerle. Non sono né biocompatibili, né biodegradabili.
Alla fine rimane quindi un solo quesito: ma chi ci guadagna dall’incenerimento dell’immondizia?
L’impianto di incenerimento è una straordinaria macchina per fare soldi. Infatti mentre i cittadini pagano per la raccolta dei rifiuti questi vengono semplicemente smaltiti bruciandoli, utilizzando come combustibile la parte petrolifera. Dunque per i proprietari degli inceneritori l’incasso si trasforma immediatamente in un utile visto che le spese da sostenere sono solo quelle del conferimento. E se consideriamo che un chilo di immondizia da bruciare costa circa 17 centesimi (sulle medie statistiche con margine di errore), ogni anno l’inceneritore di Castelnuovo incasserebbe quasi 7 milioni di euro per stare acceso (grosso modo).
Cosa fare quindi a questo punto? Innanzitutto salvare Se.Ve.ra (che è patrimonio di tutti visto che i soci sono i Comuni) investendo però i 27 milioni di euro (di soldi dei cittadini) non nel rilancio dell’inceneritore, bensì nella raccolta porta a porta; nell’installazione di impianti fotovoltaici sui tetti delle scuole; nella creazione di una società che può produrre bio-concime dagli scarti dell’umido e dalla creazione del circolo buono e sano dei rifiuti.
Semplice non credete?
Infine per chiudere la buona notizia. Il 22 dicembre 2008 l'Italia è stata condannata dall'Unione europea, perché il CDR va considerato “non nuovo prodotto ma rifiuto”, e deve quindi sottostare alle norme di sicurezza relative.
In Italia si continua a bruciare di tutto.
Alla salute.

Che ne diresti di leggere un altro articolo a caso del blog? Potresti trovarlo utile e interessante!

Nessun commento:

Posta un commento