sabato 24 ottobre 2020

Concessioni abusive, cave di marmo e profitto: così muoiono le Alpi Apuane

Un bell'articolo del Corriere della Sera (Rita Rapisardi) sulla situazione delle nostre magnifiche Alpi Apuane.

Negli ultimi decenni le montagne sono state mangiate per scopi che poco hanno a che vedere con l’arte. Le battaglie degli attivisti: «Nessuno controlla le escavazioni fuori dai permessi, solo gli ambientalisti denunciano»

Cave sul Monte Cavallo (Foto di Gianluca Briccolani)


Difficile non pensare a un miracolo quando si parla di Alpi Apuane: un complesso di sessanta chilometri incastonato tra i bacini del Magra e del Serchio, in Toscana, che nasconde quello che per molti è un vero tesoro, il marmo. L’immaginario quando si pensa a questi luoghi, porta subito alla Pietà di Michelangelo, al duomo e alla Torre di Pisa, oggi le cose sono ben più drammatiche.

Negli ultimi decenni le montagne sono state letteralmente mangiate da poche multinazionali che poco hanno a che vedere con l’arte: il carbonato di calcio che esce dalle viscere dei monti, finisce nell’edilizia, alle industrie farmaceutiche e cosmetiche, in gomme, colle, manta e carta. L’80% del marmo fa questa fine, mentre solo il 19,5% per elementi di arredo e piastrelle e lo 0,5% è usato per scopi artistici. Un oro bianco che vale milioni di euro per le 600 cave attive (150 circa solo a Carrara), 80 dentro il Parco Regionale della zona. Ogni anno qualche milione di tonnellate è sbriciolato lasciando voragini che mai più potranno essere curate, come il continuo inquinamento delle falde acquifere sottostanti. Con i monti muoiono fauna e flora: qui sono state censite oltre 150 specie, il 50% di tutta la biodiversità della regione, alcune sono endemiche, esclusive di questi pendii.
Di fronte a tutto questo non tutti restano immobili, perché la storia delle montagne è quella delle persone che qui vivono.

Elia Pegollo, la memoria storica delle Apuane
La bianca pancia delle Alpi Apuane Elia, 82 anni, l’ha vista sin da bambino, grazie a suo padre cavatore per oltre sessant’anni «Quando il cavatore era un mestiere, loro parlavano alle montagne, oggi sono dei guidatori di macchine, affettano il marmo come burro», racconta l’ex insegnante di ragioneria originario di Casette, una frazione di Massa. Negli anni ‘50 un popolo di 16mila lavoratori, ora ridotto a meno di mille: «Dove sono finiti quei 15mila? Nessuno ha pensato alla meccanizzazione e a chi perdeva il lavoro». L’uomo nato nel 1938, è attivista sin da bambino - «Questo mi ha creato non pochi contrasti in famiglia», dice - questo l’ha portato in Africa e America Latina a difendere popoli e habitat minacciati dall’avarizia degli uomini. Ha alle spalle molte battaglie, una collezione di denunce e minacce, e poche vittorie: «Negli anni ‘90 abbiamo fatto chiudere le cave di Dolomia, per la sopravvivenza di Forno, un paese con una sola strada dove passava un camion ogni tre minuti».

Gianluca Briccolani, da alpinista ad attivista
«Per 13 anni sono stato un uomo egoista, poi tutto è cambiato». Inizia così il racconto di Gianluca Briccolani, uomo di montagna, prima come alpinista, poi come attivista. Dopo aver scalato cime impervie come quelle dell’Himalaya e del Perù, nel 2016 fa la traversata di tutte le Alpi Apuane: «Ho visto da vicino il disastro, prima venivo qui solo nei week end, per scalare. Ora ho smesso, mi impegno a fare filmati per denunciare pratiche illegali, porto tutto a carabinieri, forestale e Arpat». Gianluca ha un archivio con dieci milioni di scatti e video per ore, alcuni tornati utili anche in alcune indagini. Ogni due settimane sceglie un bacino estrattivo e cartina alla mano, esplora la zona. Tra le cave, il suo volto ormai lo conoscono tutti e non mancano le minacce: «Devo usare tecniche al limite del militare per non farmi vedere. Esco di notte, sto fuori anche per quattro cinque giorni, dormo in montagna, a volte nelle gallerie delle cave. Insomma faccio il lavoro sporco». E che porta rischi: «Quattro anni fa qualcuno manomise la ruota dell’auto di un attivista come me, per fortuna senza conseguenze». «Nessuno controlla le escavazioni fuori dai permessi, solo gli ambientalisti denunciano, neanche le guardie del parco, sono quattro per 20mila ettari». Quarantaquattro anni, un figlio di tredici, è maestro tappezziere a Firenze, nel negozio di famiglia. «I miei amici del club alpino vorrebbero il vecchio me, quello che scala, ma la mia non è una scelta, è un sentimento: finché non cambia qualcosa non smetto».

Franca Leverotti, la veterana delle Alpi Apuane
«Ho lavorato in tutta Italia, ma ogni estate sono tornata a Carrara, dove sono nata. Le montagne sparivano e i fiumi erano sempre più bianchi, come sessant’anni fa», docente di Storia Medievale, Franca Leverotti ha insegnato alla Bicocca di Milano, alla Normale per vent’anni, a Torino, Napoli e Roma. Ha lasciato la cattedra ordinaria a 61 anni per occuparsi esclusivamente di queste montagne, oggi ne ha 70: «Ho affrontato il problema con i mezzi che conosco, sono una storica e così ho iniziato ad andare in giro per archivi alla ricerca di documenti: mi sono accorta che molte delle concessioni date alle cave erano illegittime». La docente scopre infatti che mancavano alcuni pareri necessari a dare queste autorizzazioni, ma i sindaci le concedevano ugualmente. Non sta zitta, presenta documenti a procure e autorità chiedendo spiegazioni, ne ottiene due denunce: una, in fase di ricorso, dell’ex sindaco di Vagli, in provincia di Lucca, in cui le chiedono cinque milioni e mezzo di euro per danno all’immagine della città e l’altra da un industriale per calunnia e diffamazione, conclusasi. «Quando fui assolta il giudice disse che le mie segnalazioni erano tutte vere: quell’azienda stava scavando all’interno del parco. Per risolvere la cosa hanno spostato il confine». Grazie a Franca negli anni sono partite 30 denunce, grazie a una di queste si scopre un’evasione di 12 milioni di euro, ma la Procura le archivia quasi tutte: «Mi chiedo se ha senso vivere in Italia», racconta con una voce matura, ma ancora sferzante: «Questo accade nella civilissima Toscana, con il consenso politico di tutti».

Tommaso Fattori, il politico controcorrente 
Ma non tutta la politica tace. Anche se sia a destra che a sinistra il destino delle Alpi Apuane è ignorato. Ci ha provato Tommaso Fattori, con il suo gruppo Sì Toscana a sinistra, che all’esordio nel 2015 è entrato in Regione. Fattori è tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, quello che ha poi portato al referendum del 2011 sull’Acqua bene comune. «Per chi si occupa di ambiente come me da una vita, le Alpi Apuane sono un caso emblematico di come uno sviluppo folle, basato solo sui profitti, distrugge un bene comune». La stampa lo ha definito “l’uomo dei record” per la sua intensa attività in consiglio: «Abbiamo portato la questione cave più volte, con valanghe di emendamenti per modifiche all’ultimo piano regionale cave (che ha innalzando le percentuali ammissibili di detriti all’escavazione, ndr), ma solo una minima parte è stata accolta», aggiunge Fattori, che racconta di come la politica non ha alcuna intenzione di chiudere le cave, neanche quelle dentro al parco: «C’è un’intenzione conservatrice su questi temi, ma si deve immaginare un modello produttivo diverso, non predatorio, in equilibrio con l’ambiente e che non dimentichi la giustizia sociale». A riguardo Fattori sottolinea come sia necessario pensare a economie diverse: «Sono riuscito a far provare una proposta per favorire i piccoli contadini e immetterli nel mercato locale, si può pensare al turismo, alle bonifiche o mantenendo qui più fasi della filiera del marmo».

Lorenzo e Linda, gli eredi di una battaglia 
“La distruzione non è arte”, questo hanno scritto su un telo calato giù da una cava gli attivisti di Athamanta. A smontare il mito che lega Carrara all’arte, oggi ci pensa il gruppo che porta il nome proprio di una specie endemica che qui cresce. Nato dieci mesi fa, ha unito le esperienze dei centri sociali a quelle delle associazioni ambientaliste locali, che il 24 ottobre, pur nei limiti del momento, ha indetto un corteo nazionale. «Qui c’è ancora voglia di cambiamento», racconta Linda Paternò, 29 anni, di Carrara, ingegnera in biomedicina, fresca di dottorato in ricerca biorobotica. Insieme a un gruppo di amiche un anno e mezzo fa ha lanciato Friday for Future Carrara, portando decide di persone in quelle strade che la sera ormai sono vuote. «A Carrara non ci sono né cinema, né teatri. L’offerta culturale è zero. Restano due o tre eventi all’anno finanziati dai big del marmo».

Accanto a Linda nell’attivismo e nella vita c’è Lorenzo Berti, 34 anni, della vicina Massa, agronomo laureato in architettura del paesaggio: «Da quando vivo qui con lei a Carrara, al mattino mi alzo e vedo solo distruzione. Da me non è ancora così, abbiamo le nostre belle montagne, ma temo un giorno non sarà più così». Lorenzo è attento a tutti temi ambientali: «Questo è un territorio martoriato, poche persone hanno proprietà di luoghi che sono beni comuni, come le montagne in Val Susa per la Tav o i nostri stessi i litorali. Molti giovani contano sulla stagione, l’inverno passa con i sussidi, una vita di precariato. Dei tanti soldi che girano pochi tornano indietro». La disoccupazione giovanile a Carrara è il triplo di quella nazionale.

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