mercoledì 10 luglio 2019

Il distendino di Gallicano

Tutte le favole cominciano con “c’era una volta”, ma questa non è una favola, è una realtà oggi scomparsa dal nostro territorio. 
A Gallicano da secoli, grazie ai ricchi corsi d’acqua, come la Turrite e il Rio Folle, funzionavano tre “distendini”. Cosa erano i distendini? Erano ferriere dove fabbri esperti distendevano il ferro con il fuoco, dove le uniche fonti di energia erano il carbone e l’acqua, tutto questo per farne attrezzi da lavoro. 
L’ultima persona del nostro Comune che da giovane ha fatto questo difficile lavoro con suo padre e suo nonno è Saisi Fiorello. Chi non conosce il Fiorello dell’Adua, personaggio sempre sorridente e disponibile. Sono andato a trovarlo a casa per fargli un’intervista. 
Mi ha accolto con grande piacere per parlare di quel lavoro duro e faticoso, iniziato da ragazzo fin da quando andava alle elementari. Fiorello, con grande entusiasmo, è entrato nei suoi ricordi più cari e mi ha spiegato tutti i passaggi di come veniva lavorato il ferro in quel mondo antico, prima che arrivasse la tecnologia moderna. 
I tre distendini si trovavano, due in loc. Carpinazzo, detto anche “Lo Stendino” sul canale del Rio Folle subito sopra strada, e il terzo in loc S. Andrea dopo la “Pontavilla” loc. Lucarotti. Nel 1909, inizia a raccontare Fiorello, mio nonno acquistò il distendino, il primo sulla strada in loc. Carpinazzo, dove sopra la soglia della porta c’era la data del 1606, continuando con le produzioni di attrezzi, poi nel 1920, quando ci fu il terribile terremoto che distrusse tutto il paese di Villa Collemandina, cominciò a fare anche le leghe per rinforzare case e campanili, tutt’oggi ben visibili nelle vecchie abitazioni. 
Con il nonno continuarono i due figli, Fernando, padre dell’Ingegnere Fiorello Saisi, e Alemanno padre di Fiorello. Il distendino era formato da un forno, tre forge, un maglio, una sega per ferro, e un soffiatore di aria detto a trombone. Il ferro utilizzato in quel tempo erano le “verghe del treno” classiche rotaie del treno che venivano via via sostituite. 
Queste rotaie che avevano una lunghezza di sei metri, venivano tagliate a pezzi di due metri. Ma come tagliavano queste lunghe rotaie? 


Fiorello, sorridendo, mi racconta che suo nonno le lasciava fuori al freddo dell’inverno e quando venivano quelle nottate molto fredde con la brinata, al mattino presto, a misura di due metri le incideva con uno scalpello, poi messe sopra a due spezzoni di ferro distanti tra loro, con una mazza di ferro del peso di 18 kg, dava un colpo secco e come il vetro la lungarina si spezzava. All’interno del distendino c’era una sega per il ferro che serviva per tagliare le rotaie da due metri a cm. 80, un forno alimentato a carbone, per scaldare i pezzi di rotaia che venivano a loro volta tagliate longitudinalmente in tre fasce con il maglio, tre forge alimentate a carbone di castagno che veniva fatto nella zona di Chieva, per scaldare e forgiare i piccoli attrezzi, un maglio, il macchinario più importante di tutta l’officina, che serviva per tagliare nelle diverse misure ferri incandescenti per le varie forge e per formare attrezzi più grandi come vanghe, pennati, zappe e altri attrezzi. All’esterno dello distendino, c’era una grande ruota in legno con grandi tazze azionata dall’acqua, fissata su di un asse orizzontale che azionava il maglio e la sega del ferro. 
Altro strumento molto importante per le forge e il forno era il trombone: grosso tubo in verticale che cadendo l’acqua al suo interno dall’alto, creava un vortice d’aria, con vicino il fondo un altro tubo in orizzontale che portava dentro l’officina l’aria che serviva per soffiare nelle forge ad alimentare la brace del carbone. 
A monte del distendino, c’era una condotta dell’acqua, presa nel canale che serviva come deposito detto “Bottaccio”, per far girare la grande ruota che azionava tutti i meccanismi all’interno. Ogni due anni il giorno 10 agosto, per S. Lorenzo, festa dei fabbri, detto bottaccio veniva svuotato dall’acqua per ripulirlo dall’accumulo di terra e foglie. Sul fondo rimanevano all’asciutto sempre diverse trote, che a fine lavoro finivano in una bella grigliata. Nei primi anni settanta del secolo scorso, chiuse il distendino per la morte di Fernando e il pensionamento di Alemanno, nel frattempo, 
Fiorello aveva iniziato altre attività, come vendita di gas, macchine da cucire e come consorzio agrario, nella piazza centrale di Gallicano; nel 1960 comprò il terreno e costruii la casa e il nuovo negozio di materiali elettrici: esiste tutt’ora all’inizio di via Roma. 

 Ivo Poli – L’aringo n. 11 settembre 2017

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