venerdì 7 novembre 2014

Il castagno che ci dava il pane


Le selve del Sillico, le selve di Sassi, di Cerasa e Lupinaia, le selve di Gragnanella, le selve di Corfino. Le domestiche selve di Garfagnana, l’ubertosa, regale corona degli apui orti del castagno. Carpanese, Fosetta, Marzolina, Moretta, Primaticcia, Rigola, Rossella, Rossola, sono femmine le piante del castagno, innestate dalla feconda mano di remore e innominate deità femminili, tuttora abitate da femmine streghe di mortale bellezza e indicibili poteri. La nobiltà di un popolo di maschi irsuti governati dalla femminilità.

Anche quest’anno le selve hanno fruttato e daranno neccio per l’orgoglio dei discendenti dei miserabili della pellagra. L’italico pane dei poveri, lo chiamava Pascoli il neccio, la garfagnina polenta di castagne dolce e senza speranza, la pattona che fa smettere di piangere i bambini. Non c’è proteina, non c’è vitamina, c’è la consolazione zuccherina di averci lo stomaco pieno.

Un tempo bastava a non sentirsi perduti, un tempo bastava per alzarsi l’indomani per tornare a lavorare, per riprovare a andare a scuola. Ora le selve sono solo fierezza di montanari, bellezza da piangere e un decimo del Pil di Garfagnana.

Ora i castagni che popolano le selve di Garfagnana sono esseri di quattro e cinque secoli che hanno nomi propri, nomi si santi. Ora che hanno vinto la santa guerra contro la vespa cinese e hanno ancora fruttato, i garfagnini se li stanno a guardare con gli occhi celebranti di chi ha la fortuna di servire vetusti cavalieri non ancora perduti nella leggenda.

Il Fatto Quotidiano, Lunedì 27 ottobre 2014 di Maurizio Maggiani

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